Cittá di Chiari
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Chiari in pillole

Il volto storico: l'evoluzione urbana

Chiunque si trovi a percorrere le strade del centro storico di Chiari per prima cosa resta colpito dalla sua forma urbana circolare. Invano si cerca di orientarsi, come d’abitudine, in base all’incrociarsi a scacchiera delle vie: a Chiari non esistono strade parallele, tutte le vie si diramano a raggiera da piazza Zanardelli, centro e cuore urbanistico della città, dove sorgono il Duomo e, separata, la torre campanaria. Ed è il profilo della torre che si staglia alto in lontananza a costituire l’unico vero punto di riferimento, visibile in qualunque posto della città ci si trovi, l’elemento inconfondibile che definisce e caratterizza lo skyline del centro urbano.

Veduta aerea della città di Chiari (Bams Photo/Basilio Rodella)
(Veduta aerea della città di Chiari (Bams Photo/Basilio Rodella)

Questa peculiare forma urbana ha origini lontane. Nel cuore del centro storico, nello spazio oggi occupato da piazza Zanardelli, sorse in età longobarda il primo nucleo insediativo, tra fine VI e inizi VII secolo d.C. che, con la sua forma circolare, diede origine alla città e ne pose le basi anche urbanistiche. Le indagini archeologiche svolte tra il 2007 e il 2009 sul lato nord della piazza hanno restituito uno spaccato delle prime fasi dell’abitato tra VII e XI secolo e del suo sviluppo fino al XV secolo.
Al VII secolo sono datate le prime tracce strutturate (fig. 1).

Si tratta di un minuscolo nucleo insediativo racchiuso da un doppio fossato ad andamento curvilineo che doveva comprendere uno spazio grosso modo circolare di circa 70 m di diametro, occupato nella porzione settentrionale da un gruppo di sepolture a file parallele scavate in nuda terra. Oggi nella porzione sud-occidentale della piazza un doppio allineamento di ciottoli ad andamento curvilineo presente nella pavimentazione a lastre calcaree è il segno di questa memoria.

(fig. 1. Nucleo insediativo racchiuso da doppio fossato ad andamento curvilineo (VII secolo) (Irene Paderno))

(fig. 1. Nucleo insediativo racchiuso da doppio fossato ad andamento curvilineo (VII secolo) (Irene Paderno))


Tra IX e fine X secolo, l’abitato si estende (fig. 2) e acquista l’aspetto di un villaggio fortificato, sovrapponendosi all’area cimiteriale ed espandendosi oltre il doppio fossato precedente, che venne colmato con ciottoli e terra. Più all’esterno fu scavato, a protezione del villaggio, un nuovo fossato sempre ad andamento circolare, associato ad una palificata lignea di difesa che doveva comprendere un’area più che doppia rispetto alla precedente.

Tracce di questo fossato si sono rinvenute infatti sotto il quadriportico e in corrispondenza del cortile d’aria delle ex carceri, oggi Museo della Città.

(fig. 2. Villaggio difeso da palificata lignea (IX-X secolo) (Irene Paderno))
(fig. 2. Villaggio difeso da palificata lignea (IX-X secolo) (Irene Paderno))


Intorno al XII secolo si registra un deciso stacco rispetto ai caratteri dell’insediamento precedente: il villaggio lascia il posto ad un castello in muratura (il castro Clare citato nel primo documento scritto che nomina la città, datato al 1125-1130). Fra XII e XIII secolo infatti la costruzione di un robusto muro di cinta (un tratto del quale dello spessore di circa 1,30 m è stato rinvenuto in piazza delle Erbe) sostituisce la palificata precedente e amplia, anche se di poco, l’area fortificata, che continua a mantenere una forma circolare, protetta ora da una massiccia muratura difensiva e da un nuovo fossato.

Ne rimane evidente traccia urbanistica nell’attuale circonvallazione interna delle vie XXVI Aprile e De Gasperi che coincidono con il limite di controscarpa del fossato delle mura.

(fig. 3. Castello con fortificazioone in muratura (XII-XIII secolo) (Irene Paderno))

L’espansione dell’abitato al di fuori del limite del castello vede agli inizi del XIII secolo la costruzione della chiesa di Santa Maria Maggiore come polo di attrazione che andò aggregando attorno a sé, in progresso di tempo, l’insediamento esterno alle mura, sviluppatosi poi nel corso del XIV secolo lungo le direttrici viarie che si diramano a raggiera dal centro della piazza. Uno sviluppo insediativo che, dopo la colmatura del fossato del castello, trasformato in strada, culminerà nella costruzione da parte dei Visconti di un’ulteriore e ben più vasta cerchia difensiva di tipo urbano con la rocca militare posta nella porzione nord-orientale. Tappa conclusiva di un lungo processo evolutivo, che vede il piccolo villaggio di capanne altomedievale trasformarsi in castello in muratura alle soglie del bassomedioevo, per acquistare sul finire del 1300 i caratteri di una città murata.

(Veduta aerea del centro storico di Chiari compreso tra via De Gasperi e XXVI Aprile (Bams Photo/Basilio Rodella))

(Veduta aerea del centro storico di Chiari compreso tra via De Gasperi e XXVI Aprile (Bams Photo/Basilio Rodella))


Di questa fortificazione non rimane oggi alcuna traccia visibile in alzato, ma la sua delimitazione risulta evidente dalla conformazione dell’attuale circonvallazione esterna dei viali alberati (viale Mellini, viale Bonatelli, viale Cadeo, viale Teosa, viale Cesare Battisti) (fig. 4).

(fig. 4 Città murata viscontea con Rocca (fine XIV secolo) (Irene Paderno))

(fig. 4 Città murata viscontea con Rocca (fine XIV secolo) (Irene Paderno))

Questi infatti non sono altro che l’antico fossato delle mura della città, alimentato un tempo dalle acque che ancor oggi scorrono nella Roggia Castrina e nella Seriola Vetra, visibili a tratti a lato dei viali, riempito nella prima metà dell’800 quando venne abbattuta intenzionalmente la cinta difensiva divenuta ormai inutile. Stessa sorte toccò alla Rocca costruita dai Visconti e ristrutturata dal Malatesta agli inizi del 1400, completamente rasa al suolo nel 1835, della quale tuttavia rimane ancora leggibile l’ingombro quadrangolare con torrioni angolari nel possente corpo di fabbrica che oggi occupa la porzione settentrionale di piazza Martiri della Libertà un tempo chiamata piazza Rocca. In corrispondenza del lato settentrionale del possente manufatto militare non riedificato, dove ancora scorre un tratto della Roggia Castrina, venne costruita nel 1907 – come testimonia la data scritta in numeri romani – con fattezze di baluardo difensivo, la torre dell’acquedotto che, seppur non rispecchi in alcun modo la morfologia e l’aspetto dell’antica rocca, tuttavia ha la funzione di evocare nella memoria di chi la osserva scenari bellicosi in sintonia con le battaglie e gli scontri di cui questo luogo, con la Rocca fu teatro e protagonista per secoli.

Tratto della Roggia Castrina e torre dell'acquedotto (Flash9emezzo CPS Lab Rovato)
(Tratto della Roggia Castrina e torre dell'acquedotto (Flash9emezzo CPS Lab Rovato)


Nonostante l’abbattimento delle mura, l’abitato di Chiari conservò la caratteristica forma circolare sostanzialmente fino al dopoguerra. Le manifatture, le filande, i mulini che già a partire dal 1600 si andarono sviluppando, moltiplicandosi poi nei due secoli successivi, all’esterno del centro urbano, non ne compromisero la forma urbana circolare, in quanto si disposero a grappolo lungo la circonferenza della città. Le uniche note discordanti furono la linea retta della ferrovia costruita a nord della città nel 1874 e le ville liberty che iniziarono a sorgere a inizi ‘900 nello spazio compreso tra la ferrovia e viale Mazzini, la direttrice che conduce a Brescia.
La trasformazione più consistente dell’abitato si ebbe solo a partire dagli anni ‘50 del secolo scorso, quando il boom economico portò con sé la costruzione dei primi condomini, delle palazzine e infine delle ville a schiera che, uniformandosi al reticolo ortogonale della viabilità circostante, ereditato dalla centuriazione romana, introducono nella forma urbana di Chiari l’impianto a scacchiera.
Tracce dell’impianto centuriato romano sono peraltro evidenti nel territorio a sud di Chiari, dove, in via Roccafranca, che ne è un cardine insieme a via Tagliata e via S. Genesio, si sono rinvenuti, durante i recenti lavori per la realizzazione dell’autostrada BreBeMi, i resti di strutture di epoca romana che tuttavia furono abbandonate in età tardoantica e non diedero vita a continuità di insediamento.

Via Roccafranca, strada romana in corso di scavo (Soprintendenza Archeologia, Belle Arti, Paesaggio di Brescia e Bergamo)
(Via Roccafranca, strada romana in corso di scavo (Soprintendenza Archeologia, Belle Arti, Paesaggio di Brescia e Bergamo))

Oggi l’attuale centro urbano di Chiari ricopre un’area cinque volte maggiore rispetto al centro storico delimitato dai viali di circonvallazione ed è il risultato di una lunga vicenda insediativa le cui tappe risultano sorprendentemente leggibili nella forma urbana della città, la cui cifra è data dalla peculiare circolarità concentrica del suo volto storico.

Il Museo della Città

(Museo della Città di Chiari in piazza Zanardelli (Flash9emezzo LAB CPS Rovato))
(Museo della Città di Chiari in piazza Zanardelli (Flash9emezzo LAB CPS Rovato))

Il Museo della Città di Chiari ha sede nei locali degli edifici storici che si affacciano sulla centrale piazza Zanardelli, cuore urbanistico della città, dove sorse in età longobarda l’insediamento originario, sviluppatosi poi nel corso del tempo. L’ingresso al Museo, posto sotto il porticato quattrocentesco che divide piazza Zanardelli da piazza delle Erbe, dà accesso ai locali al piano terra, un tempo adibiti a Carceri (il nucleo più antico risale al XV secolo), rimaste in uso fino agli anni ‘70 del secolo scorso, di cui restano ben riconoscibili le celle e i cortili d’aria femminile e maschile, mentre al piano superiore, sono visibili le tracce del rinascimentale Palazzo del Podestà con un ampio salone dove si amministrava la giustizia, attualmente utilizzato per mostre temporanee ed eventi culturali.

Una saletta didattica ricavata in una cantina cinquecentesca mette in comunicazione con il Palazzo dell’ex Comune posto sul lato settentrionale di piazza Zanardelli, sede municipale dal 1821 al 1986 quando il Comune venne trasferito in piazza Martiri della Libertà nell’ex caserma Eugenio di Savoia che, dal 1950 al 1967, era stata trasformata in campo di raccolta di ebrei e di profughi istriani, giuliani e dalmati.

Il volto storico: l'evoluzione urbana

Pompeo Batoni, Vergine con il Bambino e i santi Girolamo, Giacomo maggiore e Filippo Neri. 1763 ca. Chiari, parrocchiale dei santi Faustino e Giovita
(Pompeo Batoni, Vergine con il Bambino e i santi Girolamo, Giacomo maggiore e Filippo Neri. 1763 ca. Chiari, parrocchiale dei santi Faustino e Giovita)

Popoloso centro abitato della Pianura Padana, posto lungo la direttrice Brescia-Milano, Chiari nel 1862 fu insignita del titolo di città o, per meglio dire, le venne restituito il titolo di città, toltole dal governo austro-ungarico, poiché sospettata di essere un covo di nostalgici napoleonici antiaustriaci. Il titolo infatti le era stato attribuito da Napoleone per la sua rilevanza amministrativa ed economica nella Repubblica Cisalpina, quando Chiari fu posta a capo del secondo distretto del Dipartimento del Mella, che contava 52 comuni, dal lago d’Iseo a Orzinuovi.

Forse anche questo ha contribuito ad alimentare nei clarensi un misto di orgoglio, riconoscenza, consapevolezza del ruolo culturale svolto e del patrimonio ereditato che a Chiari si è soliti riassumere in un unico termine: “clarensità”. Un forte senso di appartenenza che a qualcuno a volte è sembrato sconfinare in campanilismo, ma che in realtà denota un amore profondo per la propria terra e la sua storia.

Una storia che inizia con il piccolo insediamento longobardo, documentato dagli scavi archeologici, che si sviluppa in età carolingia come villaggio fortificato con palizzata lignea, per diventare nei secoli centrali del Medioevo un castello cinto da mura, in relazione forse con il potere signorile che in quel periodo era andato via via consolidandosi.

Da questo momento ci vengono in soccorso anche le fonti documentarie che testimoniano già nel 1148 la presenza all’interno del castello di una cappella dedicata a San Faustino: patrono sia di Chiari che di Brescia. Un legame con la città capoluogo, forse non ancora sufficientemente indagato, in relazione con la presenza all’esterno delle mura della chiesa di Santa Maria Maggiore, secondo una modalità insediativa attestata in casi coevi, per cui la cappella interna al castello è ad uso del signore e la chiesa posta all’esterno al servizio della comunità, nel contesto di intricate dinamiche in cui si intrecciano poteri signorili di matrice laica ed ecclesiastica.
Non si sa chi abbia inventato il paragone tra Chiari e “la piccola Atene” ma certo è un termine che le si addice se pensiamo alla Chiari del Rinascimento o alla Chiari del secolo d’oro: il Settecento.
Alle soglie del XV secolo Chiari era ormai una cittadina cinta da possenti mura, dotata di una rocca in cui risiedevano i capitani e le milizie, impegnata a dotarsi di fabbricati destinati ad accogliere le più importanti istituzioni civili: il Podestà, che svolgeva anche funzioni giurisdizionali e il Consiglio Comunale. È del 1426 infatti l’atto con cui Filippo Maria Visconti proclama l’indipendenza di Chiari e del suo territorio dalla città di Brescia, conferendole importanti privilegi amministrativi ed una sostanziale autonomia politica. Nel 1429 si dota di propri statuti; sono attestate per la prima volta le Quadre ed è in questo periodo che viene delineandosi l’assetto monumentale che ancora oggi caratterizza il cuore urbanistico della città, con la costruzione del Duomo cui faceva da contraltare il palazzo del Comune posto in piazza delle Erbe (oggi non più visibile).

 

Nel mezzo il palazzo del Podestà con il quadriportico e le Carceri, che definiva gli spazi delle piazze dove il giovedì si svolgeva, come oggi, il mercato cittadino. Fin dal XIV secolo vi è a Chiari una delle più grandi e importanti scuole pubbliche della provincia di Brescia in cui vengono a studiare i figli dei ricchi ma anche i figli dei poveri mantenuti dal Comune, dal Consiglio dei Quaranta.

Può vantare inoltre la presenza di un’accademia umanistica e di una folta schiera di intellettuali ed umanisti che dopo essere vissuti o aver insegnato a Chiari passano in città più grandi, come Giovita Rapicio, maestro di retorica e di grammatica che insegnò anche a Bergamo, Vicenza e Venezia; Isidoro Clario, insigne biblista che divenne vescovo di Foligno o Fausto Sabeo chiamato da Papa Leone X a dirigere la Biblioteca Vaticana.

Carta della Lombardia (part.), Biblioteca Nazionale di Parigi (prima metà del XV secolo)
(Carta della Lombardia (part.), Biblioteca Nazionale di Parigi (prima metà del XV secolo))


Chiari è davvero in questi secoli (XV-XVI) un laboratorio di cultura, di sperimentazione, di intraprendenza anche politica con rivendicazioni di un proprio ruolo indipendente dal capoluogo, nelle alterne vicende che videro fronteggiarsi il Ducato di Milano e la Repubblica di Venezia e che trovarono espressione nelle seppur effimere esperienze delle contee del Carmagnola e di La Palice.

Affresco quattrocentesco del palazzo del Podestà (ipotizzato) poi trasformato in carcere e oggi sala espositiva del Museo (Flash9emezzo CPS Lab Rovato)
(Affresco quattrocentesco del palazzo del Podestà (ipotizzato) poi trasformato in carcere e oggi sala espositiva del Museo (Flash9emezzo CPS Lab Rovato))


Il 1600 è il secolo del coraggio imprenditoriale che fa da trampolino di lancio per la prosperità del secolo successivo. La realizzazione di imponenti opere irrigue, le seriole e le rogge scavate già ad opera dei Visconti e poi di Venezia, associata alle aumentate richieste di derrate alimentari da parte della Dominante, avevano costituito un volano per la crescita economica di Chiari, da sempre imperniata sull’attività agricola.
L’introduzione a metà del secolo dell’allevamento dei bachi da seta e la trattura artigianale della seta fornì l’accelerazione decisiva all’economia, dando avvio allo sviluppo dell’industria serica. Filatoi vennero costruiti all’esterno delle mura a sfruttare la forza motrice della rogge e si andarono affermando vecchie (gli "Originari") e nuove famiglie, soprattutto tessitori lecchesi e bergamaschi (i "Forestieri"), che basavano il loro prestigio e la loro ricchezza non più solo sulla proprietà fondiaria, ma anche sull’attività industriale che produrrà notevole benessere anche nei secoli successivi.
Il 1700 è definito infatti il secolo d’oro per l’esplosione dell’economia, soprattutto grazie all’industria filatoiera, cui hanno fatto seguito le grandi opere di cultura, d’arte, di carità. Chiari all’affacciarsi del nuovo secolo è una città appena uscita nel 1701 dalla Battaglia dei "Casotti". Una guerra che ha visto devastato il territorio di Chiari per più di 80 giorni. Ebbene i clarensi nel periodo immediatamente successivo alla battaglia costruiscono l’Ospedale Mellini, ridanno vita e importanza alla scuola pubblica, mettono mano alla ristrutturazione delle chiese: il Duomo, Santa Maria Maggiore, le abbelliscono, chiamano da Roma uno dei più grandi ritrattisti del ‘700 che è Pompeo Batoni, chiamano i più grandi artisti bresciani, scultori, pittori e danno a loro delle committenze straordinarie. Alla fine del 1700 Chiari è una fiorente città che con la propria solidità economica è in grado di sostenere ogni scommessa imprenditoriale. Ma l’incantesimo si rompe con il crollo nel 1796 della Serenissima, cui seguì il periodo della Rivoluzione Francese, la calata dei Francesi in Italia e la controffensiva degli Austriaci. Chiari è quotidianamente campo di passaggio di truppe che mettono a dura prova il suo tessuto socioeconomico.

Francesco Podesti, Il Redentore con i Santi Faustino e Giovita (XIX secolo)
(Francesco Podesti, Il Redentore con i Santi Faustino e Giovita (XIX secolo))


Una situazione di criticità alla quale Chiari seppe reagire soprattutto grazie all’operato di Stefano Antonio Morcelli, gesuita e intellettuale di primo piano nell’Italia del tempo, che il Consiglio dei Quaranta chiama a ricoprire la carica di Prevosto, vedendo in lui un timone e una guida per la Comunità. E lui, insigne epigrafista, che a Roma fondò l’Accademia di Archeologia e diresse la biblioteca del Cardinal Albani, nel 1790 ritornò nella sua Chiari a fare il Prevosto e si rese autore di importanti opere nell’ambito della religiosità, della carità, della cultura e dell’arte: dalla biblioteca Morcelliana, agli orfanotrofi maschile e femminile, dall’attivazione di nuove compagnie religiose, all’abbellimento di numerosi luoghi di culto.

Anche per questo Chiari è definita “la piccola Atene”: perché dà i natali a grandi personaggi e illustri studiosi scelgono Chiari come luogo in cui esercitare la loro scienza e la loro arte. Per citarne alcuni ricordiamo di Chiari i grandi artisti della famiglia Tortelli, gli intagliatori Giacomo Faustini, gli Olmi, Maffeo Olivieri, il pittore Giuseppe Teosa. Operarono a Chiari anche i Fiamminghini, Andrea Asper, Pompeo Batoni, Gaetano Monti o gli Arici, musicisti dell’800.
Dopo il 1815 la vita clarense è segnata dal peso della dominazione austroungarica cui si opposero illustri figure di patrioti come Paolo Bigoni, Giovanni Maffoni, Ferdinando Cavalli, Don Antonio Salvoni e Francesco Bonatelli. Chiari continua ad essere annoverata tra i Comuni di prima classe, ma sono anni di privazione della libertà e di povertà diffusa: per dar lavoro alle centinaia di disoccupati e recuperare materiale da costruzione, si smantellano le vecchie mura.
Con l’Unità d’Italia Chiari mantiene la sua centralità sul territorio come punto di riferimento politico e amministrativo. Nel 1878 arriva a Chiari la ferrovia che la collega a Brescia e Milano. Mentre sul finire del secolo si moltiplicano le lotte sociali di operai e contadini, i cattolici clarensi si rendono protagonisti di importanti opere di solidarietà sociale: l’asilo infantile, la società operaia, le leghe di mutuo soccorso, le cooperative di produzione e consumo. Un assistenzialismo che si traduce agli inizi del 1900 nella costruzione del nuovo Ospedale Mellini, mentre le ville liberty che sorgono tra la ferrovia e viale Mazzini sono il simbolo dell’affermarsi di una ricca borghesia industriale e finanziaria, di cui villa Mazzotti è l’esempio più fastoso.
Chiari del resto ha da sempre impresso anche nella pietra la propria storia: le 54 chiese di cui alcune scomparse perché riconvertite ad altro uso oppure rase al suolo, Chiari dalla torre incompiuta, Chiari della Rocca distrutta insieme a tutto il perimetro delle mura. Tra le più importanti testimonianze monumentali della cultura e della storia clarense vanno ricordate: Piazza Zanardelli con gli edifici delle ex Carceri e dell’ex Comune, oggi Museo della Città, il Duomo dedicato ai Martiri Patroni Faustino e Giovita, la chiesa di Santa Maria Maggiore, la Torre Campanaria e l’ex Ospedale Mellini, oggi sede della Biblioteca Sabeo, la Biblioteca Morcelli e la Pinacoteca Repossi nella sede della fondazione omonima, villa Mazzotti dal 1981 di proprietà comunale, con il suo immenso parco, il quattrocentesco convento di S. Bernardino, per arrivare alla nuova caserma dei Vigili del Fuoco, espressione delle sperimentazioni architettoniche contemporanee.

 

La più antica rappresentazione dello stemma di Chiari compare in un manoscritto risalente alla prima metà del XV secolo, in cui è rappresentato lo scudo araldico diviso orizzontalmente in due campi: quello superiore contiene la figura di un’aquila nera ad ali spiegate su fondo oro, simbolo dell’Impero, concessa in età medievale dall’Imperatore, rappresenta l’appartenenza al partito dei ghibellini, lo schieramento a favore dell’Imperatore germanico che si contrappone al potere temporale del Papato, sostenuto invece dal partito dei guelfi. Nella parte inferiore dello stemma vi sono tre stelle d'argento a cinque punte (nella raffigurazioni successive rappresentate a sei punte) in campo rosso, annoverate tra i contrassegni del partito guelfo. Sembrerebbe esistere quindi un’apparente contraddizione dovuta alla compresenza nello stesso stemma dei distintivi di due fazioni politiche contrapposte: i guelfi e i ghibellini. Certo è che lo stemma di Chiari e lo stemma della famiglia Chizzola coincidono ad eccezione delle tre stelle, sostituite nello stemma nobiliare da tre chisöle, cioè “chizzole”, che sono dei dolci tradizionali bresciani a forma di piccole ciambelle col buco. La famiglia Chizzola, di fede ghibellina e di antichissima origine, attestata nella provincia di Brescia dall'XI secolo, aveva a Chiari numerosi possedimenti.

Lo stemma di Chiari è sovrastato da una corona turrita, con cinque bastioni merlati, che nell'araldica contraddistinguono il titolo di città. Sotto lo stemma, al congiungimento di due rami d'alloro e di quercia, appare un cartiglio con la scritta Clararum Civitas.

Prima raffigurazione dello stemma di Chiari (Pacta et ordinationes datiorum, manoscritto del XV secolo, carta 1r., Biblioteca Morcelli)
(Prima raffigurazione dello stemma di Chiari (Pacta et ordinationes datiorum, manoscritto del XV secolo, carta 1r., Biblioteca Morcelli))

Stemma di Chiari nel Palazzo del Broletto di Brescia (XIX secolo)
(Stemma di Chiari nel Palazzo del Broletto di Brescia (XIX secolo))

Gonfalone della Città di Chiari (Alessandro Belussi)
(Gonfalone della Città di Chiari (Alessandro Belussi))

La Fondazione Biblioteca Morcelli Pinacoteca Repossi

Fondazione Biblioteca Morcelli Pinacoteca Repossi, Sala Morcelli con ritratto di Stefano Antonio Morcelli (olio su tela, Gabriele Rottini 1830-1839) (Alessandro Belussi)
(Fondazione Biblioteca Morcelli Pinacoteca Repossi, Sala Morcelli con ritratto di Stefano Antonio Morcelli (olio su tela, Gabriele Rottini 1830-1839) (Alessandro Belussi).)

La Fondazione Biblioteca Morcelli Pinacoteca Repossi nel nome stesso ricorda i suoi fondatori: Stefano Antonio Morcelli e Pietro Repossi.
Antonio Morcelli ecclesiastico e insigne erudito, promosse un’attività pastorale innovativa finalizzata ad incrementare l’interesse per gli studi e per questo nel 1817 donò «alla studiosa gioventù» di Chiari tutta la sua biblioteca, compresi gli arredi, allestiti in un salone progettato appositamente e a lui dedicato.

Aperta nel 1822, per successive donazioni la biblioteca si è ampliata e arricchita fino a raggiungere i 70000 volumi antichi distribuiti in nove sale. Per cui oggi la Morcelliana non solo è la biblioteca più antica aperta, al pubblico, della provincia dopo la Queriniana di Brescia, ma si caratterizza anche per la rarità di molte delle sue edizioni. Migliaia di Cinquecentine, Seicentine e di volumi del ‘700, 57 incunaboli, migliaia di manoscritti, pergamene pertinenti a beni documentari e beni archivistici, come l’archivio del Comune di Chiari (Ancien Régime), delle Quadre, delle maggiori famiglie clarensi. La Biblioteca non è solo il luogo della conservazione ma anche il luogo della consultazione e della progettualità, punto di riferimento imprescindibile per chiunque, studioso o semplice appassionato, voglia ricostruire la storia di Chiari. Lo stretto legame tra la gente di Chiari e la Fondazione è suggellato peraltro ogni anno dai numerosi lasciti di cui risulta beneficiaria, come la recente donazione di villa Corridori Giordano-Scalvi, completa di tutti gli arredi, in fase di musealizzazione.

Veduta aerea della sede della Fondazione (Bams Photo/ Basilio Rodella)
(Veduta aerea della sede della Fondazione (Bams Photo/ Basilio Rodella))
Il patrimonio della Fondazione consta anche di una pinacoteca nata da un lascito di Pietro Repossi: clarense d’adozione, milanese d’origine, insegnò lettere al ginnasio di Chiari e promosse una scuola di disegno per operai alla quale affiancò un piccolo museo con quadri, incisioni, monete, sculture da lui collezionati, che donò in eredità alla Morcelliana nel 1854, insieme alla sua biblioteca.

 

Oggi, grazie a donazioni, sia pubbliche che private, la pinacoteca conserva un prestigioso patrimonio storico ed artistico fatto di 550 dipinti, che testimoniano la produzione artistica locale, clarense, bresciana e lombarda in generale, anche se non mancano opere di artisti di riconosciuta importanza (di rilevo un Ecce Homo attribuito al Tiziano e un dipinto attributo a Velázquez).

Inoltre 150 sculture, tra cui una statua lignea del ‘500 che raffigura Dio Padre di Clemente Tortelli e opere di Giacinto Faustini, Gaetano Monti, Antonio Ricci e di artisti contemporanei, 300 mobili antichi e una splendida gipsoteca alla quale è dedicato un piano del museo. Le opere pittoriche e scultoree sono esposte secondo percorsi tematici: il sacro (XV-XX secoli), i ritratti (XVIII-XX secoli), i paesaggi (XVII-XX secoli), i pittori e gli scultori clarensi (XVIII-XX secoli), i contemporanei.

Gaetano Matteo Monti, Igea (XIX secolo) (Alessandro Belussi)
(Gaetano Matteo Monti, Igea (XIX secolo) (Alessandro Belussi))

Un discorso a parte meritano le oltre 3000 incisioni, sia italiane che straniere, significative per la rarità dei fogli dal XV secolo ad oggi, tra cui spiccano autori come Pollaiolo, Rubens, Mantegna, Rembrandt, Tiepolo, il Canaletto.

Per poter esporre le incisioni, che per ragioni di conservazione vanno custodite in cassettiere, è stata allestita una apposita sala in cui ne vengono esposte una quarantina a rotazione. Nel 2012 inoltre la Pinacoteca si è arricchita per lascito testamentario, della preziosa collezione Giordano-Scalvi costituita da 61 icone, la maggior parte di iconografi russi del XVII-XX secolo, molte delle quali impreziosite da splendidi rivestimenti, capolavori dell’arte orafa; centinaia gli argenti e i mobili, le porcellane e i cristalli.
Infine una sezione particolare del Museo, posta al piano terra, è dedicata allo scultore clarense Vittorio Pelati le cui opere sono esposte in un originale allestimento firmato dall’architetto giapponese Takashi Schimura.

Attilio Andreoli, Ritratto della Contessa Paolina Faglia (post 1902) (Alessandro Belussi)
(Attilio Andreoli, Ritratto della Contessa Paolina Faglia (post 1902) (Alessandro Belussi))

Pollaiolo, Combattimento di Ignudi (1465-1489)
(Pollaiolo, Combattimento di Ignudi (1465-1489))

Veduta aerea della sede della Fondazione (Bams Photo/ Basilio Rodella)
(Veduta aerea della sede della Fondazione (Bams Photo/ Basilio Rodella))

Le Quadre

(Sbandieratori e Musici della Quadra di Zeveto durante il Palioo delle Quadre (Silvano Marelli))

(Sbandieratori e Musici della Quadra di Zeveto durante il Palioo delle Quadre (Silvano Marelli))

Il forestiero che entra a Chiari, da qualsiasi direzione provenga, incontra un cartello con la scritta “Chiari città delle Quadre Medievali”, a indicare da subito ciò che per i clarensi li rappresenta più di ogni altra cosa. Non solo per il fatto che ad esse sia dedicato il Palio delle Quadre: una manifestazione che dura un’intera settimana (la prima di settembre), alla cui preparazione si lavora per un anno intero e per la riuscita della quale si mobilita tutta la città.

La manifestazione in realtà è la testimonianza di come ancor oggi sopravviva nei clarensi la consapevolezza del ruolo che le Quadre hanno svolto nella storia di Chiari per più di quattro secoli. Le Quadre infatti non sono altro che una forma di governo, un’organizzazione politico-amministrativa che Chiari si è data in età medievale a difesa degli interessi dei clarensi “Originari” contro i soprusi dei Bresciani del capoluogo, i “Forestieri”, che qui trovavano terre fertili, acquistavano e costituivano latifondi. A questo i clarensi si opposero attribuendo alle Quadre una sorta di ruolo protezionistico adottando una forma di governo, che ha dominato la scena politica clarense per un lunghissimo arco di tempo, resistendo all’avvicendarsi dei dominanti di turno: fossero essi il Comune di Brescia, i Visconti di Milano o la Repubblica di Venezia.
Forse anche questo assetto istituzionale delle Quadre, originale dei clarensi, ha contribuito ad alimentare in loro un sentimento di fierezza, di orgoglio delle proprie origini, di attaccamento incondizionato alla propria terra, che è uno degli aspetti peculiari della “clarensità”, derivante dalla consapevolezza della propria vicenda storica.
Originariamente, in età comunale, le Quadre indicavano una porzione di territorio. In relazione ad esigenze legate alla gestione del bene comune e alla difesa delle mura cittadine, la città fu divisa in quattro parti (le Quadre) e gli abitanti di ogni Quadra, riuniti in corporazioni erano tenuti a prestare la loro opera per mantenere in efficienza la porta e il tratto di mura compresi nell’area di propria pertinenza.
Tali corporazioni ben presto divennero elemento di aggregazione sociale ed espressione di interessi comuni di parte, per cui ogni Quadra si diede una forte fisionomia individuale: si scelse i propri simboli, i propri organismi associativi, costruì le proprie chiese, una suburbana e una rurale, costituì consistenti patrimoni terrieri di Quadra di pertinenza esclusiva dei clarensi originari, impedendo il passaggio di proprietà ad acquirenti forestieri.
I Clarensi si costituirono quindi in Quadre, nell’ordine rigorosamente alfabetico: Cortezzano, Marengo, Villatico e Zeveto e il loro potere divenne vieppiù maggiore fino a rivendicare un ruolo politico e amministrativo nel governo della città. Ogni Quadra eleggeva dieci rappresentanti che andavano a formare il Consiglio dei Quaranta, nominato solo dai cittadini originari, che per quattro secoli gestì l’amministrazione comunale della città. Quindi le Quadre davvero dominavano la scena pubblica.
Il Consiglio dei Quaranta cominciò ad avere un gran peso nella vita della cittadina a partire dall’inizio del 1400, anche se le Quadre vissero il momento del loro massimo splendore tra Cinquecento e prima metà del ‘700. I primi scricchiolii si avvertirono già verso la metà del ‘700, soprattutto dopo l’avvento dei setaioli da Bergamo, da Lecco e da Como, contro i quali, in quanto “Forestieri”, i responsabili delle Quadre iniziarono una lunga polemica. Ma i tempi erano cambiati: non era più possibile una rigida distinzione solo a favore di alcune vecchie famiglie originarie rispetto a famiglie ex forestiere che ormai erano clarensi da moltissimo tempo e in più detenevano il primato economico all’interno della comunità. Questi scricchiolii finirono nella prima metà dell’800 per essere un crollo verticale: l’identità tra Quadre e Comune si disgrega. Le Quadre continuarono a sopravvivere come associazioni private finché anche i beni comuni vennero ripartiti tra gli associati e nel ‘900 cessarono ogni attività. Delle quattro Quadre ci sono rimasti i colori che campeggiano sulle quattro facce del campanile della torre: azzurro per Cortezzano, verde per Marengo, rosso per Villatico e giallo per Zeveto, gli edifici di culto, i documenti d’archivio e il filo di una memoria collettiva che ogni anno si riannoda in occasione della manifestazione del palio delle Quadre, divenuto ormai una tradizione.

(Da sinistra: via Villatico, via Zeveto, via Marengo e via Cortezzano (Enzo Maragucci))


Nel 1978, ad alcuni cittadini clarensi attivi per lo più in ambito sportivo, nacque l’idea di far rivivere lo spirito, l’antagonismo ma anche la solidarietà e lo spirito di collaborazione delle Quadre in un evento di carattere sportivo: la corsa del Palio, che costituisce il fulcro, il momento determinante, appassionante, straordinario di tutta la manifestazione. Una gara speciale per i clarensi che il primo sabato di settembre si riuniscono in migliaia lungo il percorso di 1400 metri della tradizionale processione del Venerdì Santo. per assistere alla staffetta tra gli atleti delle quattro Quadre, quattro per squadra. Affidare le sorti del palio ad una corsa che dura un quarto d’ora rende la sfida esaltante, definitiva, quasi un responso divino.

(Corsa del Palio delle Quadre (Luigi Daldossi))

(Corsa del Palio delle Quadre (Luigi Daldossi))


A ridosso di questo evento sportivo, sono nate iniziative di svariato tipo che si snodano nell’arco di un’intera settimana. Per organizzare le quali ogni Quadra si è dotata di un assetto amministrativo: ha un presidente, un cassiere, una vicinia, cioè l’assemblea che prende le decisioni per la Quadra.
Ovviamente la cucina la fa da padrone, ogni Quadra propone negli stand gastronomici la propria specialità: le frittelle o la salamina a Zeveto, i piatti tipici della cucina bresciana, la trippa e il rigutì a Marengo, a Cortezzano lo stufato d’asina. Villatico invece ha sempre puntato molto sui grandi spettacoli musicali realizzando l’altra faccia della quadra: un evento straordinario di cultura, d’arte, di musica.
Quello che all’inizio sembrava una mera concorrenza, in realtà è diventata una gara a chi fa non tanto di più, ma a chi fa meglio, a chi fa le proposte più interessanti mettendo in mostra il meglio dal punto di vista culturale, artistico, aggregativo, associativo di questa città. Veramente il palio delle Quadre è diventato non tanto un evento da mostrare all’esterno, quanto una realtà che tiene impegnati centinaia di clarensi per un anno intero a organizzare, a pensare, a proporre. Ne è un esempio lo spettacolo storico in costume che viene rappresentato in piazza Zanardelli prima della gara, che ogni anno si ispira a un evento, un fatto, un personaggio che fa parte della storia di Chiari.
Vero fiore all’occhiello di Chiari sono gli sbandieratori che portano la fama del palio anche oltre i confini municipali. Di richiamo indiscusso la serata dedicata al salto con l’asta in piazza Zanardelli: competizione cui partecipano atleti di caratura internazionale.

(Salto con l'asta in piazza Zanardelli (Santino Goffi))


Il bello della settimana delle Quadre sta anche in questo che tutte le sere offrono un’occasione per uscire di casa, per passeggiare, per incontrarsi, per divertirsi, per riscoprire la bellezza delle vie, dei palazzi, delle piazze, delle vetrine addobbate per l’occasione, per godersi la città che risulta ancora più bella così illuminata e imbandierata per la festa. Un’occasione per vivere Chiari e riannodare i fili della sua e della nostra storia.

 

Testo di Ivana Venturini

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